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Perché scegliere un amministratore di condominio?

Affidare la gestione di un condominio a un amministratore non è obbligatorio per legge al di sotto di un numero legale di proprietari di immobili. Quando però la sua nomina si rende necessaria, o nel caso in cui anche gli stabili più piccoli vogliano dotarsi di una gestione centralizzata, è bene comprendere perché scegliere il proprio amministratore di condominio è il primo passo per una convivenza serena.
Il ruolo della figura dell’amministratore di condominio va ben oltre la semplice gestione dei conti condivisi. È importante scegliere a chi affidare le pratiche del proprio palazzo condominiale valutandone le caratteristiche e la capacità. Solo attraverso professionalità, competenza e dedizione all’ascolto, infatti, è possibile trasformare il proprio condominio in una piccola comunità collaborativa e solidale.
La legge offre inoltre la possibilità di revocare o di rinnovare la nomina degli amministratori condominiali. La carica a tempo determinato è, in questo senso, un vero e proprio strumento democratico. In tal modo si permette ai condomini di tirare le somme del lavoro svolto a fine mandato. Se i proprietari, al termine dell’incarico, si ritrovassero insoddisfatti della gestione, rilevassero poca trasparenza o se addirittura dovessero riscontrare irregolarità, non dovrebbero temere di cambiare amministratore. La differenza da una gestione all’altra è ben evidente e tutt’altro che puramente nominale
Come scegliere un buon amministratore di condominio?
Litigi, malintesi e contesi sono all’ordine del giorno per chi fa questo mestiere. Nonostante sarebbe auspicabile evitare discussioni, purtroppo è spesso inevitabile aprire dibattiti su questioni delicate. Ecco allora che un buon amministratore non cerca solo di arginare le liti condominiali, ma si applica anche per risolverle nel miglior modo possibile, ricercando compromessi e favorendo il dialogo. L’empatia, la predisposizione all’ascolto e la capacità comunicativa sono i due primissimi requisiti da ricercare in un amministratore condominiale.
Riguardo la conoscenza della materia giuridica, è evidente che solo un esperto informato può amministrare correttamente un condominio. Questo emerge già a partire dalle principali e più ordinarie attività dell’amministratore. Ad esempio, il rispetto delle maggioranze assembleari nel corso delle votazioni, o ancora la conoscenza delle competenze dell’assemblea. Un amministratore ben formato è anche responsabile dell’equa ripartizione delle spese fra condomini, con il sostegno delle tabelle millesimali appositamente redatte.
Spesso, però, portare con sé i regolamenti condominiali e gli articoli del Codice Civile relativi all’amministrazione non basta. La materia è infatti ricca di casistica e piena di eccezioni, ed è quanto mai frequente che debba essere proprio la Corte Suprema a fare chiarezza su precise interpretazioni e risoluzioni di controversie. Ecco quindi che un amministratore aggiornato sulle ultime sentenze della Corte di Cassazione è anche capace di risolvere meglio i dubbi dei suoi condomini.
Empatia, competenza e continua formazione non sono valori aggiunti, ma requisiti fondamentali: ecco perché è importante scegliere un bravo amministratore di condominio, e non accontentarsi di una gestione mediocre.

Regolamento di condominio: può redigerlo il costruttore?


Ricordiamo innanzitutto che il regolamento di condominio è obbligatorio negli stabili in cui il numero di condomini sia superiore a dieci (art. 1138 c. 1 c.c.). Negli altri casi è facoltativo.

Molto spesso al momento dell'acquisto di un appartamento viene contestualmente presentato un regolamento di condominio "contrattuale", cioè nella forma più vincolante possibile. Attenzione però: un conto è accettare in atto un regolamento già completo e predisposto, un conto è invece accettare una clausola che demandi al costruttore la compilazione di un regolamento in un momento successivo. La clausola contenuta nei contratti di acquisto immobiliare con cui si incarica il costruttore di redigere il regolamento condominiale non può valere come approvazione del regolamento stesso. Il principio è stato applicato dal Tribunale di Torino (sentenza 297/2021) in relazione ad una causa con cui alcuni condòmini convenivano in giudizio tutti gli altri e il condominio stesso, nella persona dell'amministratore pro tempore, al fine di ottenere dallo stesso giudice l'accertamento e la dichiarazione di nullità (anche) del regolamento di condominio. Per il tribunale la domanda degli attori andava accolta. Infatti, l’obbligo genericamente assunto nei contratti di vendita delle singole unità immobiliari di rispettare il regolamento di condominio di cui contestualmente si incarica il costruttore di predisporre «non vale a conferire a quest’ultimo il potere di redigere un qualsiasi regolamento, così come non può valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti di acquisto ad un determinato regolamento già esistente che consente di ritenere quest’ultimo come facente parte per relationem di ogni singolo atto» (Cassazione 7359/1992 , Cassazione 5657/2015). In sostanza il regolamento per essere vincolante deve esistere nel momento della sottoscrizione di un contratto di acquisto che lo richiama e contestualmente si dichiara di averne preso conoscenza e di volerlo accettare.

Rendiconti condominiali: Come ripartire la spesa dell'acqua potabile?

E' uno dei temi più dibattuti nelle assemblee di condominio. In assenza di norme stringenti e specifiche sul tema, come spesso accade, ha fatto chiarezza la giurisprudenza con una celebre sentenza della corte di cassazione n.17557/14 che traccia alcuni principi fondamentali:
1. «le spese relative al consumo dell'acqua devono essere ripartite in base all'effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche. Infatti - prosegue la Corte - l'installazione in ogni singola unità immobiliare di un apposito contatore consente, da un lato, di utilizzare la lettura di esso come base certa per l'addebito dei costi, salvo il ricorso ai millesimi di proprietà per il consumo dell'acqua che serve per le parti comuni dell'edificio».
2. «in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, deve essere effettuata, ai sensi dell’art. 1123, primo comma, cod. civ., in base ai valori millesimali, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che, adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare, esenti dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno».
Quindi sintetizzando: il consumo dell'acqua è opportuno venga calcolato utilizzando come criterio primario il riparto in base alle misurazioni espresse dai contatori individuali. In loro assenza vanno utilizzati i millesimi. Le differenze espresse tra la somma dei contatori individuali e quella contabilizzata dall'ente erogatore - spesso presente - vanno ripartite su base millesimale per analogia a quanto espresso dalla corte in relazione ai consumi non direttamente relazionabili ad un consumo individuale.
Il criterio di riparto per persona, prassi spesso consolidata nei condominii, può essere legittimamente impugnato di fronte alla giurisprudenza in qualsiasi momento. Ciò non invalida i bilanci già approvati, tuttavia può portare il condominio sul percorso virtuoso del riparto per contatore.
Questo criterio di riparto consente negli anni di portare ad contenimento del consumo dell'acqua potabile sia per la maggior attenzione del singolo condomino per ridurre la propria spesa individuale sia perché rende più agevole l'individuazione di eventuali perdite personali (ad esempio la vaschetta del wc che perde acqua). Il risparmio, sperimentato direttamente dal nostro Studio negli anni di esperienza nella gestione condominiale, vien anche "certificato" dall'ARERA (Autorità di regolazione per energia reti ed ambienti).

Assicurazione condominiale: Cosa copre? Quanto costa?

L’assicurazione condominio è fondamentale poiché la sua stipula protegge dalle ipotesi d'incendio e di gravi danni. Le coperture principali sono quelle relative alla responsabilità civile e quella dei danni al fabbricato.
Purtroppo per quanto riguarda i danni al fabbricato si riscontrano spesso aspettative errate da parte dei condomini. Un caso frequente è quello relativo ai danni derivanti da infiltrazioni e perdite d'acqua che non sempre possono essere risarciti. Ad esempio se le infiltrazioni provenienti dal tetto hanno origine da uno spostamento tegole dovuto ad un evento atmosferico si può avere diritto ad un risarcimento. Se invece le infiltrazioni sono dovute ad un ammaloramento della guaina che non è stata oggetto di manutenzione, non si potrà richiedere alcun risarcimento. L' ASSICURAZIONE NON COPRE I DANNI DERIVANTI DA MANCATA MANUTENZIONE o difetti costruttivi. Altro elemento d'attenzione è quello che l'assicurazione viene di norma stipulata a copertura delle rotture degli impianti condominiali e non personali. Ad es. se si verifica la rottura di un tubo murato si può richiedere un risarcimento, se invece un proprietario ha un piatto doccia fessurato che provoca infiltrazioni al vicino di sotto, non si può attivare una richiesta di rimborso. Il responsabile è indubbiamente il proprietario del piatto doccia. In questi casi spesso riscontriamo irritazione da parte dei condomini verso l'assicurazione o verso l'amministratore per il mancato rimborso, tuttavia il malcontento è purtroppo dovuto ad un'errata aspettativa e non è ascrivibile a "colpe" dell'assicurazione o dell'amministratore. PER LA RICHIESTA DI RIMBORSO E' FONDAMENTALE STABILIRE L'ORIGINE DEL DANNO per comprendere se rientra o meno nelle coperture di polizza. Per quanto concerne il costo della stessa, viene di norma sostenuto dai proprietari e ripartito su base millesimale. Qualche eccezione si può riscontrare in caso di un'eventuale stipula di tutele aggiuntive che coprano gl'interessi dei conduttori (ad es. furti negli appartamenti) il cui costo può essere agli stessi imputato.

Se un condomino non paga devono pagare gli altri condomini?

«Non ho soldi per pagare il condominio». Quante volte l’amministratore si è sentito rispondere così alla legittima richiesta di versamento delle quote mensili! E quante altre, nel riferire tali parole all’assemblea, ha dovuto “sciropparsi” il malcontento di chi pretende, ovviamente, che tutti facciano la propria parte. Se le casse del condominio non presentano liquidità sufficiente per far fronte alle spese di gestione e non c’è modo di pagare i creditori, due sono le vie percorribili: o si accetta di subire un decreto ingiuntivo dai fornitori oppure gli altri condomini – quelli cioè che hanno già onorato il proprio debito – si rassegnano all’idea di mettere nuovamente mano al portafogli per coprire il buco di bilancio. Ma è davvero così?
-Se un condomino non paga, devono pagare gli altri condomini?
Purtroppo, i soldi non cadono dal cielo e, pertanto, laddove non ci sia possibilità di recuperare il denaro dai morosi, bisognerà necessariamente attingere dalle tasche degli altri condomini. Ma affinché ciò accada è necessario rispettare alcune regole. Regole che, peraltro, dovranno osservare anche i creditori del condominio nel momento in cui dovessero decidere di attivare i pignoramenti.
Insomma, per rispondere alla domanda iniziale (ossia, se un condomino non paga, devono pagare gli altri?) è necessario fare un passo indietro e spiegare le norme del codice civile che presiedono tale materia. In questo articolo, ti illustrerò pertanto quali sono i rischi di chi vive in un palazzo con morosi e quali ostacoli si possono frapporre alla possibilità che i creditori insoddisfatti possano rivalersi su chi ha già adempiuto agli oneri condominiali. Ma procediamo con ordine.
Indice
* 1 Si può addossare sugli altri condomini i debiti dei morosi?
* 2 Il creditore può pignorare il conto corrente del condominio?
* 3 Prima di pignorare i condòmini virtuosi il creditore deve agire contro i morosi
* 4 Il pignoramento verso tutti gli altri condomini
-Si può addossare sugli altri condomini i debiti dei morosi?
La decisione dell’assemblea di spalmare sui condomini in regola con i pagamenti i debiti lasciati dai morosi può essere approvata solo con il voto dell’unanimità. Ciò perché, diversamente, si violerebbe la regola del Codice civile secondo cui i debiti condominiali vanno divisi solo secondo millesimi. Facendo invece ricadere il debito dei morosi sugli altri condomini, questa proporzione si sfaserebbe.
-Il creditore può pignorare il conto corrente del condominio?
Se il condominio decide di non pagare il debito per mancanza di fondi, il creditore potrà farsi rilasciare un decreto ingiuntivo dal tribunale per poi agire con l’esecuzione forzata.
Il creditore, prima di avviare il pignoramento, deve farsi rilasciare, dall’amministratore di condominio, l’elenco dei condomini morosi: egli ha infatti l’obbligo di aggredire prima il patrimonio di questi ultimi e poi quello di tutti gli altri condomini, quelli cioè che sono in regola coi pagamenti. La “denuncia” ai creditori dei nomi dei morosi non costituisce violazione della privacy.
Ciò nonostante, spesso, i creditori preferiscono iniziare dal pignoramento del conto corrente del condominio. Qualcuno ha lamentato l’ingiustizia di tale scelta che finirebbe per violare la regola predetta della ripartizione delle spese secondo millesimi: difatti nel conto corrente ci sono solo i soldi dei condomini virtuosi e non certo quelli dei morosi. I primi, quindi, finirebbero per pagare due volte.
A fronte di alcune sentenze che hanno ritenuto illegittimo il pignoramento del conto corrente prima del tentativo di agire nei confronti dei morosi, la giurisprudenza maggioritaria è di contrario avviso. Questo perché, una volta corrisposti i soldi all’amministratore, questi escono dalla disponibilità dei singoli condomini per divenire bene del condominio. Dunque, ad oggi, è possibile pignorare il conto corrente del condominio prima di qualsiasi altro tipo di azione.
-Prima di pignorare i condòmini virtuosi il creditore deve agire contro i morosi
Immaginiamo, a questo punto, che il creditore, dopo aver ottenuto il decreto ingiuntivo dal tribunale, scopra che il conto corrente del condominio è vuoto. A tal punto, non avrà altra strada che agire contro i proprietari degli appartamenti. Qui entra in gioco la regola che abbiamo spiegato nel precedente paragrafo: il creditore deve prima pignorare i beni dei morosi e poi quelli degli altri proprietari
In tutto ciò c’è un paradosso. Si presume che l’azione contro i morosi sia stata già intentata dal condominio e, probabilmente, se non è stato recuperato nulla è perché il debitore è nullatenente. Quindi, il passaggio dal pignoramento nei confronti dei morosi a quello nei confronti di tutti gli altri condomini è spesso scontato.
In ogni caso, il tribunale ha fatto un’importante precisazione. Il creditore non può limitarsi a diffidare il condomino moroso, ma deve avviare un procedimento di esecuzione forzata. Solo se questo non va a buon fine, può agire contro tutti gli altri proprietari.
Il giudice capitolino ritiene che, per il creditore procedente, non sia sufficiente dimostrare di aver avviato un procedimento esecutivo contro i condòmini morosi. Altrettanto inutile sarebbe la produzione di un atto di intervento in seno ad una procedura esecutiva immobiliare già intenta da parte di creditori. Occorre dimostrare di più (per scongiurare anche una esosa condanna alle spese processuali – come avvenuta nel caso in specie -). Il creditore, nello specifico, è tenuto a provare – per come si legge in sentenza – di aver aderito ai procedimenti in questione e di non aver potuto conseguire, al termine dei medesimi, i soldi sufficienti per soddisfare il proprio credito, in tutto o in parte.
-Il pignoramento verso tutti gli altri condomini
L’ultimo passaggio, dopo l’inutile pignoramento nei confronti dei morosi, è l’aggressione dei beni degli altri condomini. Il creditore non può chiedere tutta la somma a un solo proprietario, ma deve limitarsi alla corrispondente quota millesimale. Con la conseguenza che, se vuol recuperare tutto il proprio credito, deve agire contro tutti i condomini.

Ripartizione spese condominiali: è possibile ripartire le spese in parti uguali?

Il criterio di base per la ripartizione spese è espresso dall'art.1123 cc.
"Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.
Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità."
Il criterio del valore della proprietà normalmente declinato nelle tabelle millesimali è dunque il criterio guida. Certo che "salvo diversa convenzione" apre un mondo di possibili eccezioni. Di norma regole diverse sono espresse a livello di regolamento di condominio. In assenza di regolamento (obbligatorio solo oltre i 10 proprietari) eventuali deroghe possono essere ripartite sulla base di una delibera assembleare? A nostro parere sicuramente si se vi è l'unanimità. Una delibera a maggioranza è soggetta ad una potenziale impugnazione entro i 30 giorni ma decorso tale termine si può ritenere a nostro parere pienamente valida (delibera potenzialmente annullabile ma non nulla).
Quello che è certo è che l'amministratore non possa decidere a propria discrezione ricorrendo alle "parti uguali" in caso di spesa non contemplata nel regolamento. Il faro guida rimane il criterio generale del cc (millesimale) salvo le eccezioni previste dallo stesso cc.

Che cos'è il regolamento di condominio? A che cosa serve?

E’ possibile dire che il regolamento è una sorta di statuto interno al condominio che serve a disciplinare, usando un termine generico, la gestione delle parti comuni.

Statuto, così dicono espressamente gli studiosi e la giurisprudenza che si sono cimentati nella definizione di questo documento, affermando che «il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione (accettazione da parte dei singoli acquirenti delle unità immobiliari condominiali del regolamento predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio oppure deliberazione dell'assemblea dei condomini votata con la maggioranza di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c.), si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto convenzionale del condominio, che ne disciplina la vita e l'attività come ente di gestione (ferma l'inderogabilità di alcune norma concernenti specifici aspetti della disciplina legislativa), come atto volto ad incidere su di un "rapporto plurisoggettivo" concettualmente unico con un complesso di regole giuridicamente vincolanti per tutti i condomini» (Renato Scorzelli, Il regolamento di condominio, FAG, 2007, in senso conf. Cass. 29 novembre 1995 n. 12342).


Obbligo e facoltà di deliberare l'adozione di un regolamento condominiale.

L'art. 1138, primo comma, c.c. impone nei condomini con più di dieci comproprietari, l'adozione di un regolamento. Undici, quindi, è il numero di riferimento: undici condòmini cioè undici distinti proprietari di unità immobiliari. Se due o più persone sono comproprietarie un appartamento esse ai fini del calcolo in esame valgono come una, d'altra parte in assemblea è una sola quella che può dar voce all'interesse del gruppo. Questa, quindi, è la prima regola in materia di regolamenti: solo al superamento di una determinata soglia è obbligatoria l'adozione, negli altri casi è facoltativa.

Regolamento di condominio, le tipologie.


Per capire fino in fondo a che cosa serva un regolamento è necessario, prima di tutto, operare una distinzione tra due tipologie regolamentari:


  1. il regolamento di condominio assembleare;

  2. il regolamento di condominio contrattuale.


Residua, secondo alcuni, la possibilità di addivenire all'adozione di un regolamento condominiale per via giudiziale.


Regolamento di condominio assembleare. 

Quello assembleare, ai sensi dell'art. 1138, primo comma, c.c. può contenere esclusivamente «le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione». Per approvarlo è sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi del valore dell'edificio. Esso deve essere rispettato da tutti i condomini e l'obbligo di rispetto si estende automaticamente anche agli aventi causa ed agli eredi (art. 1107 c.c.)

Un esempio: la legge (art. 66 disp. att. c.c.) impone che l'avviso di convocazione dell'assemblea debba essere comunicato almeno 5 giorni prima rispetto alla data di svolgimento. Il regolamento assembleare potrà prevedere un termine diverso (comunque mai minore).


Regolamento di condominio contrattuale.

Il regolamento contrattuale, invece, oltre a rispettare il contenuto minimo previsto per quello assembleare, permette di adottare delle norme ulteriori, ed in alcuni casi derogatorie, rispetto a quanto previsto dalla legge; allo stesso modo sarà lecito introdurre limiti ai diritti sulla proprietà esclusiva.

L'esempio classico, per il primo caso, è quello delle deroghe alla ripartizione delle spese condominiali. Così un regolamento contrattuale potrà prevedere che le spese per la manutenzione delle scale debbano essere suddivise in parti uguali e non sulla base dell'art. 1124 c.c.


Per i limiti si pensi al divieto di destinare la propria unità immobiliare ad ufficio, o a bed and breakfast; prima dell'entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, si riteneva che i regolamenti contrattuali potessero contenere norme che vietassero la detenzione di animali. (es. Trib. Piacenza n. 527/2016). Per essere valido, il regolamento contrattuale deve essere sottoscritto da tutti i partecipanti al condominio o quanto meno accettato da parte di tutti quanti attraverso un richiamo espresso contenuto nell'atto d'acquisto.

Regolamento di condominio contrattuale, la trascrizione


La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha avuto modo di sottolineare che una volta effettuata la prima compravendita, se il regolamento, già accettato, viene anche trascritto nei pubblici registri immobiliari, allora varrà per tutti i successivi acquirenti, indipendentemente dalla sua accettazione. La trascrizione, infatti, lo rende opponibile ai terzi (Cass. 17 marzo 1994, n. 2546). La trascrizione per essere vincolare deve riguardare le specifiche clausole limitative dei diritti, con apposita menzione delle stesse nella così detta nota di trascrizione (Cass. 31 luglio 2014 n. 17493).


Regolamento di condominio, le modifiche.

Per la modificazione dell’assembleare nulla quaestio: le clausole possono essere modificate con le stesse maggioranze previste per l'approvazione. Per il contrattuale, fino al 1999 la situazione era dubbia. La Corte di Cassazione, intervenendo per dirimere un contrasto interpretativo sorto in relazione al binomio origine del regolamento - modificazione dello stesso, ha spostato la sua attenzione dalla origine del documento alla sua natura, o meglio ancora alla natura delle sue clausole. In tale contesto, le Sezioni Unite del Supremo Collegio hanno affermato che: «a determinare la contrattualità dei regolamenti, siano esclusivamente le clausole di essi limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l'immobile a studio radiologico, a circolo ecc.) o comuni (limitazioni all'uso delle scale, dei cortili ecc.), ovvero quelle clausole che attribuiscano ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri (sent.nn. 208 del 1985,3733 del 1987,854 del 1997). Quindi il regolamento predisposto dall'originario, unico proprietario o dai condomini con consenso totalitario può non avere natura contrattuale se le sue clausole si limitano a disciplinare l'uso dei beni comuni pure se immobili» (così Cass. SS.UU. 30 dicembre 1999 n. 943).


In definitiva mentre un regolamento assembleare non può mai essere contrattuale, quest'ultimo in relazione al contenuto delle sue clausole può avere quella natura. Ciò significa che anche il regolamento contrattuale in alcune sue clausole (o in tutte a seconda della loro natura) potrà essere modificato con le maggioranze richieste per la modifica di quello assembleare. Ove si addivenga alla modifica di clausole contrattuali che furono oggetto di trascrizione, per la loro opponibilità a terzi è necessario che anche la modificazione, ossia la nuova clausola, sia soggetta alla medesima procedura.


Conclusioni.

L’uomo ha bisogno di vivere in gruppo, dunque un gruppo ha necessità di regole per una corretta convivenza. Per far si che, oltre che corretta sia anche pacifica ed efficacie, serve che le regole siano buone. Fondamentale diviene la scelta di un amministratore al passo coi tempi, con un imprinting più manageriale.

Il Condominio è un ente la cui gestione si rivela sempre delicata. Gli amministratori di condominio professionali sanno bene che la complessità della conduzione degli affari condominiali è legata solo in parte alle dimensioni dell’edificio.

Anche in contesti piccoli ci sono fattori come ad esempio la litigiosità degli abitanti o la conformazione dell’edificio o la vetustà degli impianti che fanno sorgere infinite discussioni, al pari che nei grandi complessi immobiliari. Molte di queste situazioni possono essere affrontate efficacemente stipulando una polizza assicurativa, ma i proprietari si chiedono spesso se l’assicurazione del condominio sia obbligatoria. Premesso che l’assicurazione del condominio, se adeguata, è uno tra gli strumenti più validi per gestire al meglio molti dei problemi dei condomini, è opportuno affrontare con chiarezza i dubbi più frequenti.


Assicurazione del condominio: quando è obbligatoria?


L’assicurazione del condominio NON è obbligatoria, nel senso sopra chiarito, perché la legge non impone al Condominio di averne una. Tuttavia il Condominio dovrà dotarsi di una polizza quando avere l’assicurazione è stato stabilito:

  • dal regolamento condominiale;

  • da una delibera dell’assemblea condominiale.


Assicurazione condominiale: cosa copre?


L’assicurazione del condominio viene solitamente proposta e configurata come una polizza globale fabbricati, ovvero una polizza che usualmente copre:


  • i danni al fabbricato assicurato (muri e impianti);

  • i danni cagionati dal fabbricato assicurato a terzi (sezione responsabilità civile).


Poiché i danni subiti dal fabbricato o provocati a terzi possono dipendere da cause diverse – solo a titolo di esempio, da incendio, eventi atmosferici, acqua condotta, acqua piovana, alberi del giardino, manufatti non a norma – è fondamentale personalizzare la polizza in base alle esigenze e ai rischi specifici del condominio, sia quanto alle coperture che quanto agli importi degli indennizzi e delle eventuali franchigie.


Da garantire solitamente con apposite estensioni anche l’ambito della ricerca guasti, dei danni da fenomeni elettrici, oppure quello delle liti condominiali e del recupero quote dei morosi. Per queste eventualità l’assicurazione del condominio deve essere arricchita con una copertura di tutela legale, che può arrivare a coprire non solo il condominio ma anche l’amministratore e gli eventuali dipendenti del condominio. Gli amministratori di condominio conoscono bene i costi non solo di manutenzioni, riparazioni e danni a terzi, ma anche quelli delle controversie legali:


  • una delibera impugnata;

  • un terzo che si è infortunato e che dissente dal risarcimento proposto dall’assicurazione di responsabilità civile del condominio;

  • un riparatore che sbaglia un intervento di manutenzione;

  • una bolletta pazza di consumi di acqua.


Chiudiamo sempre con un pensiero personale. 

Crediamo che le assicurazioni siano un valido strumento per vivere sereni, con la speranza ovviamente non servano mai, ma sapere che ci sono è come una calda coperta.

Il nostro focus è sulla bontà e utilità del prodotto/servizio, non desideriamo entrare nei termini economici, di questa o quella compagnia, solo cogliere gli aspetti positivi.

D’altro canto, a chi non piace sentirsi protetti ed al sicuro?

Insegna sulla facciata di condominio: lede il decoro architettonico?

Parlando di decoro architettonico ci riferiamo a un elemento fondante nei rapporti fra i singoli condomini e le parti comuni. Tutti devono infatti considerare il rispetto dell’estetica e del complesso ornamentale del condominio anche quando si tratta di un elemento di loro proprietà che però ha ripercussioni sull’aspetto globale dell’edificio. Parliamo, ad esempio, di tutte quelle decorazioni o modifiche che riguardano il lato esterno dei balconi, i parapetti e le ringhiere e, naturalmente, la facciata. A tal proposito: l’insegna sulla facciata di condominio lede il decoro architettonico?

Un’insegna può essere l’indicazione di un’attività commerciale che ha sede in un’unità dell’edificio condominiale. Oppure, può semplicemente derivare dall’affitto di una porzione di muro di proprietà di un singolo. Fra i due casi non esistono grosse differenze perché, in entrambi, è coinvolta la facciata del condominio, sulla quale l’assemblea ha diritto di dire la propria. Questo diritto deriva dall’interpretazione dell’articolo sulle parti comuni dell’edificio (1102). Qui si legge che ciascuno può utilizzare un bene comune purché non leda il pari godimento dello stesso bene anche agli altri condomini.

La facciata, come abbiamo visto più volte, svolge innanzitutto la funzione comune di protezione esterna dell’edificio. Ogni modifica apportata non può quindi in alcun modo minare la stabilità strutturale del condominio. La facciata ha anche una funzione estetica, il cui decoro va mantenuto per ragioni architettoniche e anche economiche. Come bisogna comportarsi quindi se si intende installare un’insegna sulla facciata di condominio?

È possibile affiggere un’insegna sulla facciata di condominio?

Il primo step è sicuramente la consultazione del regolamento condominiale. È infatti possibile che con una clausola contrattuale i condomini abbiano posto dei limiti all’affissione di insegne sulla facciata condominiale. Tenete anche presente che se l’insegna si affaccia su pubblica via, è necessaria anche l’autorizzazione comunale. Un permesso che non sostituisce in alcun modo il consenso condominiale, ma che va comunque richiesto.

Se non dovessi incontrare limiti espliciti riguardo l’apposizione di un’insegna sulla facciata condominiale nel regolamento, puoi procedere all’affissione. Tieni però presente che l’assemblea potrebbe in ogni caso sollevare un dubbio sul rispetto del decoro architettonico. Per esempio, l’insegna potrebbe essere troppo grande e quindi pregiudicare il loro pari diritto di utilizzare la facciata per scopi pubblicitari. Oppure, la grafica e i caratteri del cartello potrebbero contrastare con le linee ornamentali e i colori dell’edificio.

Basti pensare che a volte persino le zanzariere sui balconi condominiali sono considerate lesive del decoro! Anche in questo caso, non è quindi obbligatorio richiedere il permesso all’assemblea. Sottoponendo il progetto e la grafica dell’insegna all’attenzione degli altri condomini prima dell’affissione però, si potrebbero evitare possibili discussioni a posteriori.

Installare colonnine elettriche in condominio

I vantaggi di acquistare un’auto elettrica o ibrida sono molteplici. Oltre all’evidente impatto ecologico, questo tipo di mobilità ti permette anche di risparmiare sia sui consumi (considerando i costi medi di benzina e di energia elettrica) sia sull’assicurazione. Molti sono tuttavia ancora frenati rispetto all’acquisto di un’auto elettrica. Trattandosi di un mercato in espansione, le colonnine elettriche per l’alimentazione sono ancora poco diffuse sul territorio. Non tutti sanno però che è possibile, anche grazie agli incentivi previsti per legge, installare colonnine elettriche in condominio. Come fare?

Affidarsi alle (ancora poche) stazioni di ricarica presenti sul territorio può essere un rischio, oltre che scomodo. La soluzione migliore per chi intende acquistare un’auto elettrica o ibrida sarebbe quindi quella di installare colonnine elettriche direttamente presso il proprio domicilio. E se abiti in condominio? Come per l’installazione di pannelli fotovoltaici condominiali, per rispondere bisogna innanzitutto fare un distinguo.

Se possiedi un box auto privato, per installare colonnine elettriche in condominio non dovrai far altro che farne debita comunicazione all’amministratore. Fermo restando la dichiarazione di conformità di un progettista elettrico e il rispetto di norme di sicurezza e spazi di proprietà, nessun condomino potrà opporsi.

Se invece non possiedi uno spazio tuo in cui far installare colonnine elettriche, dovrai attendere l’approvazione di una richiesta, con tanto di progetto, fatta all’assemblea di condominio. Il quorum per ritenere approvata la proposta è della maggioranza dei partecipanti totali all’assemblea – quindi di almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi.

Installare colonnine elettriche in condominio: chi paga le spese?

E per quanto riguarda le spese per installare colonnine elettriche in condominio? Sia nel caso in cui i lavori riguardino il tuo box privato, sia nella costruzione su aree condivise come garage o cortile, si parla di innovazione gravosa. Con questo, si intende che devono pagare le spese solo i condomini che hanno intenzione di usufruire di questa innovazione.

Se dunque, una volta presentato il tuo progetto in assemblea, dovessi trovare non solo l’approvazione ma anche l’adesione di altri condomini, sarà l’amministratore a gestire l’equa ripartizione delle spese. Senza l’approvazione di altri condomini aderenti, potrai comunque installare colonnine elettriche in condominio assicurandoti di non pregiudicare zone comuni e di accollarti tutte le spese. I tuoi condomini potranno poi aderire retroattivamente, quindi partecipando a posteriori alla spesa con un contributo nel caso in cui decidessero in futuro di usufruire della tua colonnina.

Un aiuto a sostenere queste spese arriva dallo Stato. La Legge di Bilancio 2019 ha infatti previsto, per chi acquista una colonnina di ricarica elettrica dal primo marzo 2019 al 31 dicembre 2021, una detrazione del 50% spalmabile in 10 anni, fino a un tetto massimo di 3 mila euro. In questa detrazione sono comprese le spese di installazione e di aggiornamento della potenza elettrica del contatore.

Muri condominiali comuni: spese e interventi

Fra le parti comuni di un condominio vanno considerati anche i muri. Spesso oggetto di riparazioni e lavori di manutenzione, dunque di dispute riguardo alla ripartizione delle spese, la titolarità sui muri condominiali è in realtà ben assegnata dalla legge. Le parti comuni dell’edificio condominiale sono specificate all’articolo 1117 del Codice Civile, che include fra esse i muri maestri, i pilastri e le travi portanti e anche le facciate. Si tratta, anche stavolta, di dover interpretare il senso della legge e capire cosa si intenda per muri maestri.
I muri maestri trovano una definizione nella loro funzione: sono tali tutti quei muri che sostengono e racchiudono l’intero edificio, garantendone la sicurezza e la stabilità. Per estensione dunque, la locuzione “muri maestri” comprende al suo interno sia i muri portanti sia i muri perimetrali, i cosiddetti pannelli di rivestimento o riempimento. Entrambi infatti svolgono una funzione essenziale di sostegno e delimitazione del condominio.
Fra i muri portanti rientrano pilastri e architravi, la cosiddetta ossatura di un edificio. I muri perimetrali sono invece dei pannelli di riempimento in cemento armato fra un pilastro e l’altro. Pur non essendo strutturalmente equiparabili ai muri portanti, questi pannelli assolvono la medesima funzione di delimitazione della consistenza volumetrica e sostegno. Sono dunque anch’essi delle parti comuni.
Esistono poi i “muri divisori”, che delimitano le proprietà esclusive di due singoli o che separano la proprietà di un condomino e una parte comune dell’edificio. In entrambi i casi, questi muri sono da considerarsi come comproprietà.

Innovazioni condominiali: cosa sono e quali autorizzazioni richiedono?

Fra gli interventi che possono interessare le parti comuni di un condominio ci sono le cosiddette innovazioni. La legge disciplina questo tipo di lavori specificando, mediante il Codice Civile e le interpretazioni della giurisprudenza, quando e come è possibile realizzarli. Partiamo, come sempre, dalla definizione. Cosa sono le innovazioni condominiali?

Per innovazione condominiale si intende un lavoro che alteri:

  • La natura materiale di un bene a uso comune; in questo caso, l’innovazione consiste nell’aggiunta di qualcosa che prima non c’era.

  • La destinazione d’uso di una parte comune preesistente che, dopo l’innovazione, avrà una diversa funzionalità.

Non tutti i lavori condominiali che interessano un bene a uso comune dunque rientrano nella categoria giuridica dell’innovazione. Un intervento di modificazione che lasci intatto il godimento e la destinazione di un bene comune non è quindi da considerarsi un’innovazione. È importante comprendere la differenza fra la semplice modificazione delle parti comuni e l’istituto dell’innovazione condominiale perché quest’ultimo richiede specifiche maggioranze di approvazione in assemblea.

Innovazioni: maggioranza di approvazione in assemblea

L’articolo 1136 del Codice Civile afferma che le deliberazioni di cui all’articolo 1120 (le innovazioni) e all’articolo 1122 bis (installazione di pannelli solari e impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva, come ad esempio le antenne radioamatoriali):

devono essere approvate dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio.

Questo quorum qualificato è richiesto sia in prima che in seconda convocazione dell’assemblea. La motivazione sta proprio nella natura dell’intervento, materiale e quindi sostanziale o funzionale.

Quali innovazioni condominiali si possono fare?

La legge comprende tre tipologie di innovazioni condominiali, da approvare con la maggioranza specificata. Vediamole.

1) Le innovazioni che migliorano la sicurezza e la salubrità di edifici e impianti.

2) Opere e interventi per:

  • eliminare le barriere architettoniche.

  • Contenimento del consumo energetico.

  • Realizzare parcheggi a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio.

  • Produzione di energia mediante impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili su superfici comuni (ad esempio, il lastrico solare).

3) Installazione di «impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo » coni relativi collegamenti e la diramazione per le singole utenze.

Ogni condomino può fare richiesta all’amministratore specificando il contenuto e le modalità di realizzazione degli interventi di innovazione. L’amministratore è poi tenuto per legge a convocare l’assemblea entro trenta giorni.

Passaggio di consegne tra amministratori di condominio

Un amministratore non è per sempre. Di norma, l’incarico di gestione economica e amministrativa di un condominio dura un anno, salvo rinnovo per altri 12 mesi. E quando invece di un rinnovo avviene il subentro di un nuovo amministratore? L’articolo 1129 del Codice Civile stabilisce precisi obblighi e doveri dell’amministratore uscente (il mandatario) nei confronti del nuovo (il mandante). Vediamo come funziona il passaggio di consegne tra amministratori di condominio.

Il primo punto fermo stabilito dalla legge è che il mandatario renda conto del suo operato al nuovo amministratore, rimettendogli «tutto ciò che ha ricevuto». Questo comporta il trasferimento di un’ingente quantità di documenti di natura fiscale e legale. Si tratta infatti dell’insieme di pratiche afferenti al condominio e ai singoli condomini. Si tratta in questo caso dell’obbligo di rendiconto disposto dall’articolo 1713 CC. Oltre alla consegna della documentazione, l’amministratore uscente ha anche l’obbligo di

eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.

Per quanto riguarda il nuovo amministratore, ricordiamo che la comunicazione dell’importo dovuto a titolo di compenso per la sua attività deve essere fatta – pena la nullità della nomina – all’atto dell’accettazione stessa.

Passaggio di consegne fra amministratori: quali documenti servono?

La legge si è limitata in questo caso ad esprimere un generico obbligo di consegna di tutta la documentazione relativa al condominio e ai condomini. Spesso, pertanto, nel passaggio fra un amministratore e l’altro non mancano litigi e fraintendimenti riguardo il materiale dovuto.

A risolvere questo vacuum è intervenuto il Tribunale di Palermo con un’Ordinanza emessa il 28 gennaio 2014. In questa sentenza si legge un esaustivo elenco di documenti che l’amministratore uscente è obbligato a consegnare in seguito al passaggio di consegne. Nello specifico, si tratta di:

  •  ultimo bilancio approvato, con reso conto successivo sino al passaggio delle consegne.

  • Registro anagrafe condominiale.

  • Tabelle millesimali e regolamento condominiale.

  • Chiavi e timbri del condominio.

  • Registri dei verbali di assemblea.

  • Contratti con le ditte fornitrici e relative fatture solutorie (luce, acqua, manutenzione ascensore, pulizia scala, autoclave, ecc.).

  • Libretti di esercizio e documentazione relativa agli impianti comuni.

  • Codice fiscale del condominio.

  • Passaggio del conto corrente e/o dei conti correnti condominiali e chiavi di accesso online.

  • Polizza di assicurazione del fabbricato.

  • Certificato di prevenzione incendi.

  • Eventuali contratti di appalto opere straordinarie, stato di avanzamento lavori, certificato di collaudo e di esecuzione a regola d’arte dell’opera.

  • Disciplinare d’incarico con il direttore dei lavori.

  • Atti giudiziari per i contenziosi che hanno medio tempore coinvolto il condominio.

  • Certificazione del modello 770, nonché la comunicazione all’anagrafe tributaria dell’ammontare dei beni e servizi, anche per l’amministratore cessato dalla carica per il suo subentro.

  • Documentazione di chiusura cassa.

  • Ogni altra documentazione condominiale di carattere contabile o amministrativo necessaria o utile alla prosecuzione della gestione corrente.

Maggioranze assembleari in condominio

Un condominio è un piccolo modello democratico a tutti gli effetti. Le decisioni riguardanti la collettività e i beni a uso comune del condominio vengono infatti prese all’interno di un’assemblea che si riunisce periodicamente e mette ai voti proposte, progetti e richieste. Non solo. In questo contesto vengono anche stabilite le ripartizioni delle spese di ordinaria amministrazione e dei lavori di manutenzione, riparazione, innovazione. È importante quindi sapere quali sono le maggioranze assembleari in condominio richieste dalla legge per l’approvazione o meno di un provvedimento.

Oltre alla maggioranza assembleare, esistono innanzitutto due requisiti fondamentali affinché una delibera possa essere approvata. Innanzitutto, la convocazione di tutti gli aventi diritto all’assemblea. In secondo luogo, la presenza di un numero legale sufficiente a ritenere l’assemblea e quindi le sue delibere valide. Questo numero legale è stabilito sulla base delle tabelle millesimali del condominio, che indicano quale maggioranza specifica sia richiesta in ogni contesto.

La legge prevede inoltre la possibilità di fare due convocazioni, richiedendo due maggioranze diverse. Solitamente la votazione finale avviene nella seconda convocazione, proprio perché in questo caso si richiedono quorum più bassi. Essa deve, in ogni caso, tenersi a distanza di non più di 10 giorni dalla prima.

Per le approvazioni ordinarie, queste sono le maggioranze assembleari richieste:

  • In prima convocazione una deliberazione è valida se approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi.

  • In seconda convocazione il quorum si riduce. L’approvazione richiede un numero di voti che rappresenti un terzo degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio.

Maggioranze assembleari straordinarie

Vi sono poi alcuni casi in cui le maggioranze sopra specificate non bastano. È la questione, ad esempio, della votazione di un’innovazione condominiale. In questo caso, l’articolo 1136 richiede «un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio». Trattandosi di interventi che vanno a mutare la natura funzionale o materiale di un bene comune, questa maggioranza assembleare è necessaria anche in seconda convocazione.

Per quanto riguarda la nomina e la revoca dell’amministratore, la maggioranza assembleare di condominio richiesta è della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio (500/1000). E se la nomina e la revoca slittano all’approvazione in seconda convocazione? La giurisprudenza si è divisa su questa problematica. A far chiarezza, una sentenza del Tribunale di Roma pubblicata il 3 luglio 2019. Qui si legge che, anche in seconda convocazione, la maggioranza deve essere quella qualificata della metà più uno degli intervenuti e di almeno la metà del valore dell’edificio.

Manutenzione straordinaria di notevole entità

Sappiamo che esistono regole precise per stabilire quali maggioranze siano necessarie in assemblea condominiale per l’approvazione delle varie tipologie di delibera. Che si tratti della nomina dell’amministratore, dell’approvazione di spese ordinarie o di interventi di innovazione, dei quorum specifici sono richiesti di volta in volta. E quando si tratta di lavori di manutenzione straordinaria di notevole entità?
L’articolo 1136 del Codice Civile inserisce le «deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità» fra quelle da approvare come stabilito dal secondo comma dello stesso, ossia:
con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.
Una maggioranza qualificata ben specificata dalla legge, che non pone troppa chiarezza però sulla natura di questi interventi. In altre parole: quando si può parlare di lavori di manutenzione straordinaria di notevole entità?
Manutenzione straordinaria di notevole entità: chi la stabilisce?
In questo come in molti altri casi la parola va data al giudice. È solo in sede giudiziale infatti che è possibile stabilire, date le variabili del caso e lo studio dei progetti al vaglio, quando un lavoro di manutenzione straordinaria abbia un’entità “notevole“ e quando no. La discrezionalità del giudice si baserà su interpretazioni precedenti della giurisprudenza e sul senso generale di questo tipo di interventi.
Quando parliamo di lavori di manutenzione ordinaria ci riferiamo ovviamente a piccole riparazioni di rotture, sostituzioni e, in generale, lavori di entità ridotta che non modificano l’assetto strutturale del condominio. La manutenzione straordinaria prevede invece interventi più cospicui, causati da un guasto “non ordinario” o da necessità sopraggiunte. L’ulteriore “aggravante” di “notevole entità” va poi valutata caso per caso. È importante comprendere questo delicato passaggio, poiché da qui dipenderà poi la votazione assembleare per la ripartizione delle spese e, dunque, le quote esigibili a ciascun condomino.
Fra i criteri di giudizio tenuti in conto dal giudice rientra anche la proporzionalità fra:
la spesa totale richiesta per l’intervento.
La ripartizione fra i singoli proprietari secondo le quote millesimali.
Il valore dell’intero edificio.
Non rientra invece fra i parametri di cui un giudice può tener conto la condizione economica in cui versa il singolo condomino. Bisogna infatti calibrare l’entità notevole rispetto agli altri lavori di intervento solitamente richiesti, e non sulla spesa (eccessiva o meno) che ricade su ogni proprietario.

Sospensione dei servizi comuni ai morosi: come agire?

Pagare per usufruire di determinati servizi domestici, che siano acqua, gas, luce o altri tipi di utenze, non è solo dovere di un buon cittadino, ma anche di buon condomino. Quando i servizi di un palazzo sono comuni, infatti, le quote di ciascuno, stabilite secondo le tabelle millesimali, vengono raccolte dall’amministratore. Questo iter molto spesso si traduce in spiacevoli rincorse ai “cattivi pagatori” che, in buona o in cattiva fede, non pagano la propria quota. È qui che si innesca il meccanismo della sospensione dei servizi comuni ai morosi: quando e come si attivano le procedure?
È bene innanzitutto ricordare che esigere il pagamento delle somme dovute rientra fra gli obblighi di un amministratore di condominio. Lo stesso Codice Civile, all’articolo 1129, afferma che l’amministratore:
è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura di esercizio nel quale il credito esigibile è compreso.
Questo, salvo che l’assemblea di condominio non dispensi esplicitamente il debitore.
Recupero crediti: cosa può fare un amministratore
Un amministratore che manchi quindi di esigere un credito da un condominio moroso può incorrere nella revoca dell’incarico per inadempimento e omissione di cura. Lo strumento principale di cui un amministratore si deve servire in questo caso è la richiesta di un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo al giudice. Notare che questo atto non richiede nemmeno l’approvazione dell’assemblea.
Non solo: i creditori non soddisfatti avranno diritto di interpellare l’amministratore che dovrà informarli sui dati dei condòmini morosi. Tutte queste pratiche si rendono obbligatorie non solo perché rientranti negli obblighi dell’amministratore. È anche necessario intervenire tempestivamente per evitare la prescrizione del credito condominiale.
Sospensione dei servizi comuni ai morosi
È l’articolo 63 comma 3 delle Disposizioni di attuazione del CC a specificare quali modalità di azione sono previste per la sospensione dei servizi comuni ai morosi. In caso di mora protratta per un semestre il condominio ha il potere di sospendere il moroso dalla fruizione dei servizi comuni. Da specificare che si tratta di servizi «suscettibili di godimento separato».
Parliamo quindi di beni ad uso comune che non verranno preclusi anche agli altri condomini nel corso dell’interruzione al godimento dei morosi. Un condomino che non abbia partecipato alle spese per la manutenzione dell’ascensore, ad esempio, potrà vedersi negato l’accesso mediante l’installazione di una chiave. Evidentemente, non è possibile la sospensione dei servizi comuni non separabili, come la pulizia o l’illuminazione delle scale.

Piante sporgenti dal balcone del condominio

Abbellire il proprio balcone con dei fiori sembrerebbe una delle azioni più naturali al mondo. Eppure, specialmente quando si abita in un condominio, il rispetto della sicurezza e della quiete altrui non è mai abbastanza. Prima di installare i tuoi vasi ed esporre le tue piante sporgenti dal balcone del condominio, assicurati di conoscere i rischi a cui vai incontro e le (poche) regole di condotta richieste.

Innanzitutto, non dare per scontato che sia permesso appendere i vasi di fiori sulle ringhiere del tuo balcone. Alcuni regolamenti condominiali infatti, forse per eccesso di zelo, forse a causa di brutte esperienze pregresse, vietano le piante sporgenti dai balconi delle unità immobiliari. Questo può accadere se, ad esempio, il palazzo per condizioni di altezza o di posizione è particolarmente esposto a frequenti raffiche di vento.

Il condominio potrebbe a quel punto decidere di vietare l’esposizione di fioriere e piante sporgenti onde evitare dei danni ritenuti probabili – o situazioni già verificatesi. Simili disposizioni potrebbero essere contenute anche nei regolamenti comunali. Per particolari requisiti estetici o parametri di sicurezza, un comune potrebbe vietare l’esposizione di piante sporgenti dai balconi. Dopo esserti accertato che nessun vincolo esterno ti impedisca esplicitamente di esprimere il tuo pollice verde, assicurati anche di ripassare il codice civile e il codice penale, per capire a quali rischi vai incontro.

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Piante sporgenti cadono dal balcone: che reato si commette?

Il primo reato a cui dobbiamo pensare in presenza di piante sporgenti dal balcone del condominio è il getto pericoloso di cose o stillicidio. Un vaso che cade nel balcone del vicino sottostante può sembrare una fatalità accidentale, ma le conseguenze possono essere anche gravi come si può ben immaginare. Fondamentale è, quindi, riporre un’attenzione speciale nel fissare le piante sporgenti sul proprio balcone. Fermo restando anche l’impiego dei sottovasi per evitare di sgocciolare nelle superfici sottostanti.

Il codice civile ci ricorda anche che è sufficiente la potenzialità del pericolo per incorrere in un reato. In particolare, parliamo della fattispecie di collocamento pericoloso di cose. Se un vicino dovesse rilevare il mancato ancoraggio di un vaso o la precarietà del posizionamento di una pianta sporgente, potrebbe in via precauzionale accusare il custode incauto. Anche se il vaso non è effettivamente ancora caduto.

 Il soggetto è titolare infatti di una responsabilità oggettiva nei confronti degli oggetti di sua proprietà. Questo significa che, anche se la caduta dovesse essere del tutto accidentale, a pagare i danni per il tetto di una macchina colpita da un vaso di fiori sarebbe comunque il proprietario di casa. Meglio prevenire che curare!

Bambini che giocano in cortile: quali orari?

I bambini sono una benedizione. Non tutti, però, sono d’accordo con questa affermazione, in special modo quando si tratta dei bambini degli altri. All’interno del grande calderone delle liti condominiali causate dai rumori molesti, c’è un’intera sottocategoria che riguarda proprio i bambini. Quali sono i limiti di tolleranza entro i quali è giusto che i bambini giochino? E quando, invece, i genitori dovrebbero intervenire a tutela della quiete del vicinato? Oggi parliamo di una fattispecie che la giurisprudenza si è già trovata ad affrontare. Cosa fare quando i bambini che giocano in cortile condominiale disturbano la quiete nelle prime ore del pomeriggio? E in quali orari si richiede invece più tolleranza?
Urla, giochi rumorosi e oggetti che sbattono fanno parte del tran tran quotidiano di tutte le famiglie. Non per questo, però, devono disturbare eccessivamente anche la routine degli altri condomini. È bene precisare subito che un certo grado di tolleranza è imposto innanzitutto dal buon senso e dall’età di chi è cagione di disturbo. Quando una situazione diventa però insopportabile, è bene mettersi a tavolino con i genitori e stabilire di comune accordo delle regole comportamentali.
Innanzitutto: non esistono leggi che stabiliscano un limite orario per il gioco dei bambini. Per ovvi motivi. Anche vietare l’accesso al cortile a un bambino che risiede nel condominio è, ovviamente, da escludersi. In quanto spazio comune, si tratta di un bene cui hanno diritto di usufruire tutti i proprietari di immobili. Unico limite imponibile per legge è a quelle situazioni che pregiudichino il paritario uso dello stesso bene agli altri condomini, come ci ricorda l’articolo 1102 del Codice Civile. Ma non si tratta del caso in questione.
Cosa fare se i bambini giocano nel cortile nelle prime ore del pomeriggio?
Il problema in questione spesso non riguarda tanto – o meglio, non esclusivamente – il gioco o la presenza dei bambini. A recare fastidio sono piuttosto i rumori molesti che derivano dalle loro attività ludiche in orari legati al riposo come le prime ore del pomeriggio. In questo caso, il primo consiglio che un buon amministratore può dare a due condomini in lite è: riuniamoci attorno a un tavolo e parliamone.
Ponendosi da mediatore, un amministratore potrà riassumere le volontà delle due parti in un compromesso equo. Ad esempio, integrando il regolamento condominiale con una norma dedicata proprio agli orari di gioco dei bambini in cortile. Va tenuto presente – e un buon amministratore lo sa – che qualsiasi modifica del regolamento condominiale va messa ai voti dell’assemblea. È quindi importante che i condomini discutano proprio in questo contesto, per poter arrivare a una soluzione condivisa dall’intero edificio.
Da ricordare anche che una norma che limiti l’utilizzo di un bene comune a un condomino va inserita nel regolamento con procedura contrattuale. La modifica andrà quindi messa ai voti e dovrà passare con l’unanimità dei pareri favorevoli. È questo, ad esempio, il caso di una norma che voglia impedire ai bambini di giocare nel cortile condominiale nelle prime ore del pomeriggio.
È invece votabile con maggioranza ordinaria una norma che stabilisca di non fare rumore in determinati orari. Questo non lede infatti il diritto di utilizzo dei bambini che giocano in cortile. Ne indica semplicemente le modalità. In alternativa a questi iter, spesso lunghi e non sempre proficui, resta sempre il buon vecchio dialogo. Un richiamo al rispetto reciproco da parte dell’amministratore può spesso risolvere le cose più rapidamente di tante procedure legali.

Parapetti condominiali: chi paga le spese?

Nel nostro blog abbiamo già parlato di balconi condominiali e della ripartizione delle spese per la manutenzione o la riparazione degli stessi. Oggi vogliamo dedicare un articolo alla struttura di protezione che ripara chi si affaccia dal balcone: i parapetti condominiali. Questo componente merita infatti una discussione a sé. La manutenzione del parapetto non riguarda, infatti, solo il proprietario dell’unità abitativa che comprende il balcone, ma ha implicazioni non da poco anche per la sicurezza degli altri condòmini. In particolare per quelli sottostanti. Vediamo dunque come bisogna occuparsi del parapetto del terrazzo, che si tratti dei balconi privati o del lastrico solare.
Proprio per la loro funzione di protezione esterna dell’edificio, i parapetti condominiali sono infatti, a dispetto di quanto si possa pensare, di pertinenza condominiale. Oltre a questo compito “protettivo”, i parapetti costituiscono inoltre degli elementi di decorazione per il condominio, contribuendone a renderne gradevole l’estetica. Così come i muri perimetrali e la facciata, anche il parapetto del terrazzo e il cornicione sono dunque beni comuni. Ne consegue che le spese di mantenimento e riparazione spettino a tutti i condòmini, con una ripartizione dei costi in base alle tabelle millesimali.
Non solo manutenzione. La rottura o il cattivo mantenimento di un parapetto può recare danni anche gravi, in particolar modo agli inquilini del piano sottostante. Un’infiltrazione d’acqua o la caduta di calcinacci ne sono l’esempio più frequente. Nonostante quindi si tenda a pensare che la colpa debba essere addossata al proprietario dell’immobile con il balcone incriminato, la giurisprudenza ci dice altro.
Proprio perché i parapetti del terrazzo svolgono una funzione utile a tutti i proprietari, saranno tutti i condòmini a essere chiamati in causa in caso di danni a un inquilino. Le spese di risarcimento e quelle di riparazione saranno altresì ripartite fra tutti.
Non solo balconi: i parapetti condominiali del lastrico solare
Quando il lastrico solare è calpestabile è spesso anche dotato di parapetto. Come abbiamo già discusso in merito al lastrico, questa superficie funge solitamente da tetto e da protezione a tutto l’edificio, e rientra quindi appieno fra i beni di competenza comune. Anche quando l’utilizzo è esclusivo di un singolo o di un gruppo ristretto di proprietari.
E per quanto riguarda le spese di manutenzione dei parapetti condominiali posti sul lastrico? In questo caso, la questione è più controversa. Non avendo il Codice Civile previsto norme specifiche al riguardo, la giurisprudenza, come non di rado capita, si è orientata verso conclusioni contrastanti. L’interpretazione più recente prevede che a questi parapetti si applichi la stessa normativa relativa al lastrico solare, in quanto parte integrante dello stesso. Le spese di ripartizione nel caso il lastrico sia di proprietà esclusiva sarebbero quindi descritte all’articolo 1126, che prevede il contributo per un terzo del proprietario esclusivo e per due terzi degli altri condomini.
Non mancano però orientamenti contrastanti, che ritengono tutti i parapetti, compresi quelli sul lastrico, come elementi decorativi e quindi di pertinenza di tutti i condomini. Secondo questa interpretazione la ripartizione delle spese avverrebbe in base alle tabelle millesimali. Non solo. Altre letture del codice normativo ritengono invece che il parapetto di un lastrico solare sia un suo elemento puramente accessorio e finalizzato alla sicurezza solamente di chi può transitarvi. In questo caso, quindi, le spese andrebbero a carico unicamente del proprietario esclusivo del lastrico.
La soluzione? Chiedere un consulto al proprio amministratore di condominio. Sarebbe bene affrontare la questione preventivamente, votando collegialmente per una risoluzione nel regolamento condominiale. In modo da non doversi trovare ad affrontare il problema solo quando entri in causa un risarcimento danni dinanzi a un giudice.

Cosa fare se l’inquilino non paga il condominio?

Non è purtroppo una situazione troppo rara: un inquilino conduttore di un contratto di affitto smette, per qualche motivo, di pagare il proprio compenso al locatore. Oltre alla quota di affitto, viene quindi meno anche il pagamento delle rate condominiali, le cosiddette spese di amministrazione. Cosa succede in questo caso? Chi deve pagare questi contributi? Il proprietario che non riceva l’affitto può scegliere di intraprendere alcune misure; non sempre, però, esse sono sufficienti a tutelare al 100% un locatore che non riceva quanto dovuto. Cosa fare se l’inquilino non paga il condominio?
Innanzitutto, specifichiamo che il pagamento delle rate condominiali dipende dal contratto di locazione stipulato fra le parti. In tal senso, se debba essere l’inquilino o il proprietario a pagare questa quota va stabilito in anticipo. Anche quando il contratto preveda l’onere in capo all’inquilino, però, questo non lega contrattualmente il conduttore al condominio che, in ultima istanza, deve sempre e comunque riscuotere i propri soldi dal proprietario. Il contratto di affitto è infatti un impegno che lega i soli contraenti, e non può essere opposto al condominio.
Se l’inquilino non paga il condominio perché ha smesso di pagare l’affitto, le quote dovute spettano in ogni caso al proprietario dell’immobile. Una situazione evidentemente di svantaggio, in questo caso, per il locatore che oltre a mettere in conto la mancata riscossione, nei fatti può anche dover coprire tutte le spese condominiali lasciate scoperte dall’inquilino. Tanto più che, se il proprietario si rifiuta di onorare il debito perché convinto che non gli spetti, egli può invece incorrere in una responsabilità per inadempimento, comprese le estreme conseguenze di decreto ingiuntivo e pignoramento dei beni richiesto dal condominio stesso. Salvo, poi, potersi rivalere sull’inquilino moroso, ma solo in un secondo momento.
L’inquilino non paga: il condominio può sfrattarlo?
Come detto poc’anzi, il rapporto legale fra l’inquilino e il locatore non coinvolge in alcun modo il condominio, che continuerà ad esigere il pagamento delle spese dal proprietario. Naturalmente, la legge permette al proprietario di richiedere lo sfratto di un inquilino moroso. Fra le giustificazioni ammesse c’è anche il mancato pagamento di oneri accessori quali spese condominiali.
Questo, però, solo a determinate condizioni. Deve trattarsi di una morosità di almeno due mesi, per un importo almeno equivalente (o superiore) a due canoni di affitto. In tal caso, il proprietario dovrà provvedere in ogni caso a saldare i debiti di un inquilino che non abbia pagato il condominio e poi, eventualmente, rivalersi su di lui se il contratto di locazione addossava queste spese a lui. Nessuno “sconto”, naturalmente, neanche se dovesse avvenire un passaggio di proprietà, quindi una compravendita dell’appartamento in questione. A quel punto la ripartizione delle spese fra vecchio e nuovo proprietario manterrebbe il debito comunque in capo al vecchio locatore.

Tubature orizzontali in condominio: chi paga le spese?

Proseguiamo con il nostro approfondimento tematico dedicato agli impianti idrici e fognari del condominio. I guasti alle tubature sono particolarmente fastidiosi. Questo, sia per i danni potenzialmente anche gravi che un’unità immobiliare può riportare da un guasto a un semplice tubo sia per il dibattito che solitamente si apre (non senza discussioni) in merito alle responsabilità. Dopo aver visto come stabilire a chi spetta pagare i danni della rottura di un tubo o di una perdita in bagno, analizziamo ora il caso di un guasto alle tubature orizzontali in condominio. Chi paga le spese? Con quale ripartizione?
Anche in questo caso, dobbiamo ricostruire la proprietà della diramazione dei tubi dell’impianto idrico di un condominio. Riprendiamo innanzitutto l’articolo 1117 del Codice Civile sulle parti comuni dell’edificio. Qui si specifica che appartengono alla proprietà comune e dunque a tutti i condomini anche «gli impianti idrici e fognari […] e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale».
Questo primo criterio, in realtà, stabilisce la necessità di un’analisi contingente che, di volta in volta, tenga conto del punto esatto di rottura o guasto delle tubature. Solo in questo modo è possibile attribuirne la proprietà e, quindi, la responsabilità. Si considera, quindi, che la funzione della cosa ne determini l’attribuzione (comune o esclusiva) proprio come farebbe un titolo di proprietà.
In alcuni contesti condominiali è il regolamento stesso a precisare, nero su bianco, dove comincia la proprietà comune e dove termina quella esclusiva. Fermo restando il principio affermato dall’articolo 1117. Teniamo anche presente che una tubatura orizzontale in condominio può servire allo stesso modo più condomini, escludendo dalla propria utilità gli altri proprietari. In tal caso, le spese per la manutenzione spetterebbero ai soli soggetti che beneficiano dalla cosa.
Manutenzione delle tubature orizzontali in condominio
È stabilito quindi il principio per il quale è necessario valutare caso per caso la funzionalità delle tubature in condominio, stabilendo se il loro scopo sia utile a un solo condomino, a un gruppo di essi o all’intero edificio. Ciò detto però, la giurisprudenza ha più volte individuato la soluzione in un generale criterio di ripartizione, distinguendo fra tubature verticali e tubature orizzontali in condominio.
Il principio condiviso più volte stabilisce che le tubature verticali siano di rilevanza collettiva e abbiano quindi una titolarità comune. Le tubature orizzontali sono invece tendenzialmente diramazioni dirette verso le singole unità, e sarebbero quindi di proprietà esclusiva.
Tuttavia, il criterio precedentemente affermato può benissimo ribaltare questo principio generico. È possibile infatti stabilire che quelle tubature svolgano una funzione importante per tutti i condomini di scolo delle acque piovane e prevenzione da infiltrazioni. In tal caso, anche le spese per la manutenzione delle tubature orizzontali possono essere ripartite fra tutti. Non quindi in base al criterio dell’”uso” che ne viene fatto ma in base alle tabelle millesimali. Come, insomma, un bene comune a tutti gli effetti. È quanto ha affermato, ad esempio, il Tribunale di Genova (sent. 20/01/2011) richiamandosi alle precedenti indicazioni della Cassazione.

Debiti dell’immobile all’asta: chi deve pagare?

Purtroppo è sempre più frequente la messa all’asta di un immobile. Quando questo avviene in un contesto condominiale, bisogna tenere conto anche degli eventuali debiti lasciati dal vecchio proprietario nei confronti delle casse del condominio. Una volta che l’unità immobiliare  viene venduta, chi deve pagare i debiti dell’immobile? La questione è rilevante sia per il nuovo proprietario sia per gli altri condomini che temono di doversi accollare tutto il non pagato.
È chiaro che per mettere all’asta l’immobile di un debitore non è sufficiente il mero decreto ingiuntivo che l’amministratore di condominio può inviare al moroso. Questo è solo la prima fase di un processo che, se i debiti non vengono saldati, può arrivare alla messa all’asta. A questo punto, viene inviata al Tribunale territoriale competente la richiesta di procedura esecutiva immobiliare. A presentarla è direttamente il creditore, che può essere tanto il condominio quanto un istituto bancario – oppure, l’azione congiunta di entrambe le parti.
Anche una volta che l’immobile venga venduto all’asta, non è detto però che il ricavato sia sufficiente a ricoprire tutti i debiti lasciati dal vecchio proprietario. Il nuovo acquirente si ritrova così ad avere un’unità immobiliare “morosa” nei confronti del condominio al quale appartiene. A questo punto, a rigor di logica, il nuovo proprietario è anche il nuovo debitore. Si tratta, difatti, di un obbligo propter rem. Che dipende, quindi, da un titolo di proprietà del soggetto su un bene.
I debiti dell’immobile all’asta sono del nuovo proprietario? Non solo
La norma di riferimento per risolvere questo dubbio è l’articolo 63 delle disposizioni attuative del Codice Civile. Qui si legge chiaramente che
Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.
L’obbligazione in solido significa che non esiste una ripartizione predefinita delle spese per ripagare il debito. Ciò che conta è che sia restituita l’intera somma dovuta: poco importa se con una quota da parte di ciascuno o se integralmente dal nuovo proprietario. La situazione che più spesso si concretizza è quella del pagamento integrale dei debiti dell’immobile all’asta da parte del nuovo acquirente. Il quale, poi, ha diritto a rifarsi sul vecchio proprietario chiedendogli il rimborso relativo al periodo della sua titolarità sull’immobile.
È bene sottolineare anche l’orizzonte temporale fissato dalla norma. Per quanto riguarda quindi debiti pregressi, quindi, il saldo del debito non può essere richiesto al nuovo proprietario. Ricordiamo anche che ci si riferisce all’anno di chiusura di esercizio del bilancio del condominio, e non all’anno solare.

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